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"il momento era terribile, bisognava cercare di fermare questa deriva stragista"

Grasso: "Con la mafia ci fu trattativa.

Salvata la vita di molti ministri"

Di Pietro: "Parole gravissime. Adesso faccia i nomi di chi ha gestito questa indecente mercificazione dello Stato"

2009-10-19

Ingegneria Impianti Industriali

Elettrici Antinvendio

ST

DG

Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE

 

L'ARGOMENTO DI OGGI

 

Il Mio Pensiero:

Assurdo, inconcepibile, delittuoso, mafioso trattare !

Per. Ind. G. Dalessandro

Dal Sito Internet di

il SOLE 24 ORE

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2009-10-19

 

CORRIERE della SERA

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2009-10-20

figlio di don Vito non consegna papello originale: "2 strani carabinieri intorno a casa mia"

"Provenzano disse sì alla trattativa"

Ciancimino jr al pm: definì Riina pazzo ma invitò mio padre ad andare avanti

Dal nostro inviato Giovanni Bianconi

 

Massimo Ciancimino (C), figlio dell'ex sindaco di Palermo, Vito, all'uscita dal palazzo di Giustizia del capoluogo siciliano (Ansa)

Massimo Ciancimino (C), figlio dell'ex sindaco di Palermo, Vito, all'uscita dal palazzo di Giustizia del capoluogo siciliano (Ansa)

PALERMO — Dopo aver rice­vuto il papello con le richieste dettate da Totò Riina per far ces­sare l’offensiva stragista, Vito Ciancimino incontrò l’altro Padri­no corleonese: Bernardo Proven­zano, col quale l’ex sindaco con­dannato per mafia aveva un rap­porto più stretto. E davanti alle pretese in dodici punti contenu­te in quel pezzo di carta anche "il ragioniere" di Cosa nostra (o "il trattore", o "il signor Lo Verde" come si presentava a casa Cianci­mino) scosse la testa. Erano pre­tese improponibili, che lo Stato non avrebbe mai accettato, ma per Provenzano la strada della trattativa non andava abbando­nata.

"Lei ingegnere vada avanti — disse Provenzano a "don Vito", che in realtà era geometra —, e poi vediamo di convincere il paz­zo ". Il pazzo era Riina, ma secon­do il suo compaesano bisognava ugualmente coltivare il contatto con le istituzioni. Per questo Ciancimino continuò a incontra­re i carabinieri, consapevole che dall’altra parte, come interlocuto­re, non c’era solo il "dittatore" di Cosa nostra, ma anche Provenza­no. Il quale avrebbe preso in ma­no le redini della "trattativa" do­po l’arresto di Riina; forse provo­cato da lui stesso, come sostiene il pentito Nino Giuffrè. In questa ricostruzione che sta prendendo forma nelle stanze della Procura di Palermo dove viene condotta l’inchiesta sui rap­porti tra Stato e mafia nell’estate del ’92 e subito dopo, c’è però un problema che gli stessi magistra­ti sono consapevoli di dover ri­solvere quanto prima: l’attendibi­lità di Massimo Ciancimino, il fi­glio dell’ex sindaco che da circa un anno sta raccontando i retro­scena di quella stagione. Tra cui, da ultimo, la storia di Provenza­no d’accordo con suo padre sulla "pazzia" di Riina e sui colloqui coi carabinieri. Ieri Ciancimino jr è stato nuovamente ascoltato da­gli inquirenti palermitani e di Caltanissetta che indagano sui "mandanti occulti" dell’omici­dio Borsellino. Doveva portare l’originale del papello , per con­sentire quegli accertamenti che non si possono fare sulla fotoco­pia recapitata via fax la settima­na scorsa, ma ha di nuovo rinvia­to.

Sostiene di essere "stanco" e di vedere attorno a sé troppe co­se che non gli piacciono, Massi­mo Ciancimino. Da ultimo due persone armate nelle vicinanze della sua casa bolognese che, in­terpellate dai poliziotti che lo pro­teggono, hanno mostrato i distin­tivi da carabinieri sostenendo di essere in servizio al Ros; cioè il Raggruppamento operazioni spe­ciali di cui facevano parte Mario Mori e Giuseppe De Donno, gli ormai ex ufficiali dell’Arma che lo stesso Ciancimino jr tira in bal­lo per la presunta trattativa avvia­ta tramite suo padre. Il comando provinciale dei carabinieri di Bo­logna ha però precisato che gli uomini controllati non sono del Ros, e si trovavano in quella zo­na per attività di polizia giudizia­ria che nulla hanno a che fare col figlio dell’ex sindaco mafioso. Le testimonianze del giovane Ciancimino — che su altri aspet­ti, secondo gli inquirenti, sono state riscontrate — divergono da quelle rese in passato da Mori e De Donno. In particolare su un dettaglio decisivo: la "trattati­va " sarebbe iniziata dopo la strage di Capaci (23 maggio ’92) ma pri­ma di quella di via D'Amelio (19 lu­glio). L’allora co­lonnello Mori, in­vece, afferma di essere andato la prima volta da Vito Ciancimino in agosto. È una discordanza mol­to rilevante perché può ripercuo­tersi sul movente dell’eliminazio­ne di Paolo Borsellino, alla quale se ne aggiungono altre. Mori e De Donno, ad esempio, hanno sempre negato di aver mai visto il papello o di averne conosciuto il contenuto. E continuano a so­stenere che per loro l’ex sindaco era soltanto un confidente dal quale cercavano di avere notizie per la ricerca dei latitanti; per questo non avevano avverti­to nessuno dei loro collo­qui, nemmeno Borsellino col quale s’erano incon­trati per avviare una nuova indagine, ma su questo sono arrivate le smentite dell’ex mini­stro della Giustizia Mar­telli e della sua collabo­ratrice di allora, Liliana Ferraro.

Recentemente Agnese Borsellino, vedova del magi­strato assassinato, ha riferito ai magistrati di Caltanissetta che suo marito — pochi giorni prima di morire — le confidò di avere dei dubbi sul generale Antonio Subranni, all’epoca comandante del Ros. Ieri il generale ha detto che gli "riesce difficile credere" che la signora Agnese abbia det­to qualcosa di simile. E ricorda di aver avuto molti e cordiali incon­tri col giudice, fino all’ultimo av­venuto il 10 o 11 luglio ’92, una cena, e poi, l’indomani, un viag­gio in elicottero da Roma a Saler­no.

20 ottobre 2009

 

 

 

 

 

mafia e br

Ma allora si doveva trattare per Moro?

Interrogativi e dubbi dopo le parole del procuratore Pietro Grasso sulla trattativa Stato-mafia

Caro direttore, consentimi di intervenire in questa forma inusuale sulle pagine del tuo e nostro giornale per dare voce a interrogativi e dubbi che non riescono a sciogliersi nella necessaria assertività di un articolo o di un commento. Il procuratore Pietro Grasso ha infatti parlato, seppure in via ipotetica, di una trattativa segreta che lo Stato nel ’92 avrebbe avviato con la mafia, salvando così la vita a molti politici.

Leggi la lettera integrale di Pierluigi Battista sul Corriere della Sera in edicola

20 ottobre 2009

 

2009-10-19

"il momento era terribile, bisognava cercare di fermare questa deriva stragista"

Grasso: "Con la mafia ci fu trattativa.

Salvata la vita di molti ministri"

Di Pietro: "Parole gravissime. Adesso faccia i nomi di chi ha gestito questa indecente mercificazione dello Stato"

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Dal maxi-processo alla benzina, ecco il papello con le richieste della mafia

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MILANO - La trattativa con la mafia nei primi anni ’90 c’è stata ed anzi Cosa Nostra aveva capito di poter ricattare lo Stato. A sostenerlo è il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, intervistato dal Tg 3. "Quando Riina dice a Brusca, come lui ci riferisce, che "si sono fatti sotto" vuol dire che è scattato il meccanismo di ricatto nei confronti dello Stato: la strage di Falcone ha funzionato in questo modo. L’accelerazione probabile della strage di Borsellino può allora essere servita a riattivare, ad accelerare la trattativa con i rappresentanti delle istituzioni", dice Grasso. Per il procuratore "il momento era terribile, bisognava cercare di fermare questa deriva stragista che era iniziata con la strage di Falcone: questi contatti dovevano servire a questo e ad avere degli interlocutori credibili. Il problema - continua - è di non riconoscere a Cosa nostra un ruolo tale da essere al livello di trattare con lo Stato, ma non c’è dubbio che questo primo contatto ha creato delle aspettative che poi ha creato ulteriori conseguenze". In ogni caso dopo l’arresto di don Vito Ciancimino e Riina "le stragi prendono un’altra strada, ma continuano. Io ritengo - conclude Grasso - che ci sia sempre un unico filo che collega le stragi iniziali, come l’omicidio Lima, a tutte le altre, tra cui quelle mancate dell’attentato all’Olimpico".

"LA TRATTATIVA HA SALVATO LA VITA A MOLTI MINISTRI" - L'intervista in serata al Tg3 ha fatto seguito a un'altra, uscita sulla Stampa, nella quale il procuratore nazionale antimafia sosteneva che la trattativa tra Stato e mafia "ha salvato la vita a molti ministri. Anche via D'Amelio -afferma Grasso- potrebbe essere stata fatta per "riscaldare" la trattativa. In principio pensavano di attaccare il potere politico e avevano in cantiere gli assassinii di Calogero Mannino, di Martelli, Andreotti, Vizzini e forse mi sfugge qualche altro nome. Cambiano obiettivo - dice il magistrato - probabilmente perché capiscono che non possono colpire chi dovrebbe esaudire le loro richieste. In questo senso si può dire che la trattativa abbia salvato la vita a molti politici". Grasso, cita le carte processuali e anche di un "papellino" comparso poco tempo prima del "papello": "Potrebbe essere stato consegnato ai carabinieri del Ros, al col. Mori che nega l'episodio, da uno strano collaboratore dei servizi che chiedeva l'abolizione dell'ergastolo per i capimafia Luciano Liggio, Giovanbattista Pullará, Pippo Calò, Giuseppe Giacomo Gambino e Bernardo Brusca. Anche quelle richieste ovviamente finirono nel nulla perchè irrealizzabili".

DI PIETRO: "ADESSO FACCIA I NOMI" - "Quelle di Grasso sono parole che non avremmo mai voluto ascoltare". E' di Pietro a reagire nel modo più critico alle due interviste del procuratore: "Deve fare i nomi di chi ha gestito questa indecente mercificazione dello Stato e della sua dignità". "Piero Grasso - continua Di Pietro - deve dire quali politici sono stati salvati e perché la mafia voleva ucciderli. Cosa avevano promesso i politici? Cosa hanno ottenuto? Chi sono i porta nome e porta interessi della mafia in Parlamento? Alcuni nomi li conosciamo: il primo sarebbe stato Giulio Andreotti, uomo di "esperienza" nei rapporti con la mafia, salvato dal reato di favoreggiamento per prescrizione; un altro è Marcello Dell'Utri, fondatore di Forza Italia, oggi in appello con 9 anni di condanna in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa". "Vogliamo tutti i nomi -prosegue Di Pietro- l'intera lista, per poterli allontanare dalle istituzioni e processare, oltre che per i reati più ovvi, anche per alto tradimento della Patria. Si, di questo stiamo parlando e nessuno in uno Stato ha l'autorità per poter "vendere" i suoi cittadini alla criminalita. I politici coinvolti nella trattativa con la mafia -conclude Di Pietro- vadano a dare le loro indecenti spiegazioni ai familiari di Giovanni Falcone, della moglie, Francesca Morvillo, dei tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montanaro, a quelli di Borsellino, di Agostino Catalano, di Emanuela Loi, di Vincenzo Li Muli, di Walter Eddie Cosina, di Claudio Traina".

AGNESE BORSELLINO: "MIO MARITO TEMEVA DI ESSERE SPIATO" - "Stranamente negli ultimi giorni che precedettero via d'Amelio, mio marito mi faceva abbassare la serranda della stanza da letto, perché diceva che ci potevano osservare dal Castello Utveggio". È questo un passaggio dell'intervista rilasciata a La Storia Siamo Noi di Rai Educational, da Agnese Borsellino, la moglie del magistrato ucciso assieme agli agenti della scorta nella strage di via D'Amelio. L'intervista andrà in onda lunedì alle 23.30 su RaiDue. Il castello Utveggio si trova sul monte Pellegrino e domina dall'alto la città di Palermo; secondo alcuni esperti di mafia, tra cui l'ex consulente di diverse Procure Gioacchino Genchi, sarebbe stato un punto di osservazione da parte di apparati dei servizi segreti.

 

18 ottobre 2009(ultima modifica: 19 ottobre 2009)

 

 

 

 

 

il documento

Dal maxi-processo alla benzina, ecco il papello con le richieste della mafia

Una copia del testo consegnata da Ciancimino jr. C’è anche un manoscritto dell’ex sindaco

L'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino (Emmevi)

L'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino (Emmevi)

PALERMO - Le condanne definitive nel maxi-processo di Palermo arrivarono a gennaio del 1992, e da lì si scatenò la ven­detta di Totò Riina contro lo Sta­to. A marzo fu assassinato Salvo Lima, a maggio saltò in aria Gio­vanni Falcone, e dopo la strage di Capaci la cancellazione di quel verdetto timbrato dalla Cas­sazione viene messa al primo punto delle richieste mafiose al­lo Stato per fermare l’offensiva terroristica. "1 - Revisione sentenza ma­xi- processo" è scritto in cima al papello finito nelle mani dell’ex sindaco corleonese di Palermo, Vito Ciancimino, e consegnato ai carabinieri del Ros (il colonnello Mario Mori e il capitano Giusep­pe De Donno) che andavano a far­gli visita per carpire notizie utili alla cattura dei latitanti. Almeno nella loro versione.

Secondo Mas­simo Ciancimino invece, figlio di "don Vito" e prin­cipale testimone di questa vicenda, gli ufficiali dell’Ar­ma avevano avviato con suo padre una vera e propria trattati­va, dopo Capaci e pri­ma della strage di via D’Amelio in cui morì Paolo Borsellino, il 19 luglio ’92. Pure questo è un punto in cui le rico­struzioni non coincido­no, uno dei nodi cruciali dell’indagine in corso a 17 anni dai fatti. A riprova di quello che racconta, Ciancimino jr ha fatto avere l’altro giorno ai pubblici ministeri di Paler­mo una fotocopia del famige­rato papello. È un foglio di carta bianco, con dodici pun­ti scritti a mano, in stampatel­lo, senza errori di ortografia tranne uno (fragranza invece di flagranza), con calligrafia chiara. Che non sembra quella di Riina, né di Bernardo Proven­zano. Secondo i racconti del gio­vane Ciancimino, lui lo ritirò chiuso in una busta, in un bar di Mondello, dal medico condanna­to per mafia Antonino Cinà. Lo portò a suo padre e poi lo rivide nelle mani del misterioso "si­gnor Franco", o "Carlo", l’uomo mai identificato dei servizi segre­ti o di qualche altro apparato che pure partecipò alla trattativa. L’intermediario disse a Vito Cian­cimino che poteva andare avanti, e l’ex sindaco ordinò al figlio di combinare un altro appuntamen­to con Mori e De Donno. A loro diede il papello, e a riprova di ciò — sempre secondo Ciancimino jr — sull’originale del documen­to è applicato un post-it scritto a mano dal padre dove si legge "Consegnato in copia spontanea­mente al col. Mori, dei carabinie­ri dei Ros". I magistrati non hanno ancora l’originale, e per adesso studiano il contenuto della fotocopia giun­ta via fax all’avvocato di Massi­mo Ciancimino, che l’ha portata in Procura.

Dopo il maxi-proces­so i mafiosi si preoccupano di abolire il "41 bis" che prevede il "carcere duro" per i mafiosi, la revisione della legge Rognoni-La Torre e di quella sui pentiti. Poi, al punto 5, compare un argomen­to che solo anni dopo sarà tratta­to dai boss di Cosa Nostra, come possibile via d’uscita dagli erga­stoli: "Riconoscimento benefici dissociati (Brigate rosse) per con­dannati di mafia". Con evidente riferimento alla legge fatta per gli ex terroristi. È strano che già se ne parli nel ’92, quando i capi sono tutti latitanti, ma questo ri­sulta dal papello. Al punto 7, dopo la richiesta degli arresti domiciliari per gli ul­trasettantenni, s’invoca la chiusu­ra delle carceri speciali. Poi ci si concentra sui rapporti con i fami­liari: dalla detenzione vicino alle abitazioni delle famiglie all’esclu­sione della censura della posta, fi­no all’esclusione delle misure di prevenzione per mogli e figli. C’è poi la proposta di procedere al­l’arresto "solo in fragranza di re­ato ", come se le manette potesse­ro scattare durante una riunione tra mafiosi o subito dopo l’esecu­zione di un omicidio, mai in altri casi. Una sorta d’immunità per i boss, come per i parlamentari. Con l’ultimo punto ci si preoc­cupa di tutt’altro argomento: "Le­vare tasse carburanti, come Ao­sta ". Improvvisamente, dalle condizioni di vita dei detenuti (e dei loro parenti) e dalle riforme del codice penale, si passa a que­stioni economiche come la defi­scalizzazione della benzina. E in­sieme al papello Massimo Cianci­mino ha consegnato alcuni fogli manoscritti dal padre dove, fra varie argomentazioni di tipo poli­tico- programmatico, si cita l’abo­lizione del monopolio del tabac­co. In quelle carte compaiono an­che i nomi di Nicola Mancino e Virginio Rognoni. Il primo diven­ne ministro dell’Interno il 1˚ lu­glio 1992, il secondo fu ministro della Difesa fino a quella data. En­trambi hanno sempre detto di non aver mai saputo nulla della "trattativa" con la mafia, ma il ri­ferimento a Rognoni viene consi­derato dagli inquirenti un altro indizio che il confronto tra lo Sta­to e i boss (tramite l’ex sindaco di Palermo) sarebbe cominciato dopo la strage di Capaci ma pri­ma di quella di via D’Amelio. E che forse Paolo Borsellino morì anche perché era diventato un ostacolo da rimuovere.

Giovanni Bianconi

16 ottobre 2009

 

 

 

 

 

la copia è stata fornita dall'avvocato di Massimo Ciancimino al procuratore

Trattative tra mafia e Stato

Il "papello" consegnato ai giudici

Si tratta del documento con l’elenco delle richieste per interrompere la stagione delle stragi

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Rivelazioni di Martelli, indagano i pm (10 ottobre 2009)

Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo (Emmevì)

Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo (Emmevì)

PALERMO — Le condanne definitive nel maxi-processo di Palermo arrivarono a gennaio del 1992, e da lì si scatenò la ven­detta di Totò Riina contro lo Sta­to. A marzo fu assassinato Salvo Lima, a maggio saltò in aria Gio­vanni Falcone, e dopo la strage di Capaci la cancellazione di quel verdetto timbrato dalla Cas­sazione viene messa al primo punto delle richieste mafiose al­lo Stato per fermare l’offensiva terroristica.

"1 - Revisione sentenza ma­xi- processo" è scritto in cima al papello finito nelle mani dell’ex sindaco corleonese di Palermo, Vito Ciancimino, e consegnato ai carabinieri del Ros (il colonnello Mario Mori e il capitano Giusep­pe De Donno) che andavano a far­gli visita per carpire notizie utili alla cattura dei latitanti. Almeno nella loro versione. Secondo Mas­simo Ciancimino invece, figlio di "don Vito" e prin­cipale testimone di questa vicenda, gli ufficiali dell’Ar­ma avevano avviato con suo padre una vera e propria trattati­va, dopo Capaci e pri­ma della strage di via D’Amelio in cui morì Paolo Borsellino, il 19 luglio ’92. Pure questo è un punto in cui le rico­struzioni non coincido­no, uno dei nodi cruciali dell’indagine in corso a 17 anni dai fatti. A riprova di quello che racconta, Ciancimino jr ha fatto avere l’altro giorno ai pubblici ministeri di Paler­mo una fotocopia del famige­rato papello.

GUARDA - Il "papello" con i 12 punti scritti a mano

GUARDA - Grafico: la trascrizione dei 12 punti

È un foglio di carta bianco, con dodici pun­ti scritti a mano, in stampatel­lo, senza errori di ortografia tranne uno (fragranza invece di flagranza), con calligrafia chiara. Che non sembra quella di Riina, né di Bernardo Proven­zano. Secondo i racconti del gio­vane Ciancimino, lui lo ritirò chiuso in una busta, in un bar di Mondello, dal medico condanna­to per mafia Antonino Cinà. Lo portò a suo padre e poi lo rivide nelle mani del misterioso "si­gnor Franco", o "Carlo", l’uomo mai identificato dei servizi segre­ti o di qualche altro apparato che pure partecipò alla trattativa. L’intermediario disse a Vito Cian­cimino che poteva andare avanti, e l’ex sindaco ordinò al figlio di combinare un altro appuntamen­to con Mori e De Donno. A loro diede il papello, e a riprova di ciò — sempre secondo Ciancimino jr — sull’originale del documen­to è applicato un post-it scritto a mano dal padre dove si legge "Consegnato in copia spontanea­mente al col. Mori, dei carabinie­ri dei Ros". I magistrati non hanno ancora l’originale, e per adesso studiano il contenuto della fotocopia giun­ta via fax all’avvocato di Massi­mo Ciancimino, che l’ha portata in Procura. Dopo il maxi-proces­so i mafiosi si preoccupano di abolire il "41 bis" che prevede il "carcere duro" per i mafiosi, la revisione della legge Rognoni-La Torre e di quella sui pentiti.

Poi, al punto 5, compare un argomen­to che solo anni dopo sarà tratta­to dai boss di Cosa Nostra, come possibile via d’uscita dagli erga­stoli: "Riconoscimento benefici dissociati (Brigate rosse) per con­dannati di mafia". Con evidente riferimento alla legge fatta per gli ex terroristi. È strano che già se ne parli nel ’92, quando i capi sono tutti latitanti, ma questo ri­sulta dal papello. Al punto 7, dopo la richiesta degli arresti domiciliari per gli ul­trasettantenni, s’invoca la chiusu­ra delle carceri speciali. Poi ci si concentra sui rapporti con i fami­liari: dalla detenzione vicino alle abitazioni delle famiglie all’esclu­sione della censura della posta, fi­no all’esclusione delle misure di prevenzione per mogli e figli. C’è poi la proposta di procedere al­l’arresto "solo in fragranza di re­ato ", come se le manette potesse­ro scattare durante una riunione tra mafiosi o subito dopo l’esecu­zione di un omicidio, mai in altri casi. Una sorta d’immunità per i boss, come per i parlamentari.

Con l’ultimo punto ci si preoc­cupa di tutt’altro argomento: "Le­vare tasse carburanti, come Ao­sta ". Improvvisamente, dalle condizioni di vita dei detenuti (e dei loro parenti) e dalle riforme del codice penale, si passa a que­stioni economiche come la defi­scalizzazione della benzina. E in­sieme al papello Massimo Cianci­mino ha consegnato alcuni fogli manoscritti dal padre dove, fra varie argomentazioni di tipo poli­tico- programmatico, si cita l’abo­lizione del monopolio del tabac­co. In quelle carte compaiono an­che i nomi di Nicola Mancino e Virginio Rognoni. Il primo diven­ne ministro dell’Interno il 1˚ lu­glio 1992, il secondo fu ministro della Difesa fino a quella data. En­trambi hanno sempre detto di non aver mai saputo nulla della "trattativa" con la mafia, ma il ri­ferimento a Rognoni viene consi­derato dagli inquirenti un altro indizio che il confronto tra lo Sta­to e i boss (tramite l’ex sindaco di Palermo) sarebbe cominciato dopo la strage di Capaci ma pri­ma di quella di via D’Amelio. E che forse Paolo Borsellino morì anche perché era diventato un ostacolo da rimuovere.

Giovanni Bianconi

15 ottobre 2009(ultima modifica: 16 ottobre 2009)

 

 

 

Dopo "ANnozero" L’ex capitano dei carabinieri De Donno: false quelle dichiarazioni in tv

Rivelazioni di Martelli, indagano i pm

Convocata la dirigente che avrebbe informato Borsellino sui contatti mafia-Stato

Claudio Martelli (Emmevi)

Claudio Martelli (Emmevi)

ROMA — L’altra sera l’ex ca­pitano dei carabinieri Giuseppe De Donno ha visto in tv Annoze­ro , come altri cinque milioni e ot­tocentomila italiani. E ha ascolta­to il racconto dell’ex Guardasigil­li Claudio Martelli, che lo riguar­dava da vicino: nel giugno del 1992, dopo la strage di Capaci, l’ufficiale dell’Arma andò da Li­liana Ferraro, la collaboratrice di Giovanni Falcone che ne prese il posto alla direzione generale del ministero della Giustizia, per dir­le che l’ex sindaco mafioso di Pa­lermo Vito Ciancimino "aveva una volontà di collaborazione, che si sarebbe però esplicata se avesse avuto delle garanzie poli­tiche ".

La Ferraro gli consigliò di parlarne con Paolo Borsellino e poi — ha rivelato Martelli al giornalista Sandro Ruotolo — lei stessa lo confidò al magistra­to nel trigesimo della morte di Falcone, cioè il 23 giugno ’92. La reazione dell’ex capitano De Donno, all’indomani della puntata di Annozero , è piuttosto decisa: "L’episodio descritto dal­l’onorevole Martelli è completa­mente falso e destituito di qual­siasi fondamento. Non ho mai incontrato la dottoressa Ferraro per discutere di attività operati­ve, né dei miei contatti con Vito Ciancimino. Conosco la dotto­ressa perché me la presentò il dottor Falcone, ma quell’episo­dio non è mai avvenuto".

Vista l’attenzione che negli ultimi me­si s’è riaccesa intorno a ciò che avvenne prima, durante e dopo le stragi mafiose del ’92, De Don­no aggiunge: "Ho dato mandato ai legali di procedere in sede giu­diziaria a mia tutela ove emer­gessero profili di reato a carico di chiunque". Ma su quanto ac­cadde in quei mesi risponde: "Sulla vicenda in generale non voglio dire nulla per rispetto del­le indagini in corso a Palermo e Caltanissetta". Anche Liliana Ferraro ha vi­sto il programma di Michele Santoro, ma non fa commenti perché attende la scontata con­vocazione dei magistrati di Pa­lermo e Caltanissetta che indaga­no sulla presunta trattativa fra Stato e mafia in quel periodo. La circostanza che Borsellino ne fosse informato, che la Ferraro potrebbe confermare, precisare o correggere, non sarebbe un particolare di poco conto per gli inquirenti, ancora alla ricerca del "movente occulto" della strage in cui il giudice morì in­sieme a cinque agenti di scorta, il 19 luglio 1992.

Secondo un’ipotetica ricostruzione infat­ti, Borsellino potrebbe essere stato eliminato subito dopo Fal­cone perché aveva saputo dei contatti tra "pezzi" di Stato e Co­sa Nostra, e si sarebbe opposto; nell’immediato non fu un buon affare per i mafiosi, giacché la nuova strage fece immediata­mente diventare legge il "carce­re duro" e benefici pressoché il­limitati per i pentiti, ma non c’era alternativa. Certo, Martelli non ha fatto cenno a tutto questo, né ha usa­to la parola "trattativa" o tirato in ballo il governo. E ieri ha volu­to precisare che secondo lui i ca­rabinieri "non avevano alcun ti­tolo per intavolare un’azione di persuasione" con Ciancimino. Ma l’accenno alla "copertura po­litica " evoca quanto affermato di recente da Massimo Ciancimi­no, figlio di Vito, sulle garanzie politiche che suo padre preten­deva per continuare a parlare coi carabinieri: De Donno e l’al­lora colonnello Mori, per l’ap­punto. Ciancimino jr, che sostie­ne di aver visto e di voler conse­gnare ai magistrati una copia del famoso "papello" con le ri­chieste di Riina, ha indicato co­me altro ipotetico "garante" ri­chiesto dal padre l’ex ministro dell’interno Mancino, oggi vi­ce- presidente del Csm. Il quale ha sempre negato (e ieri ha riba­dito) di aver mai sentito parlare di "possibile trattative", e nem­meno degli incontri di Mori e De Donno con Vito Ciancimino.

Ieri a Palermo i pubblici mini­steri hanno interrogato Sandro Ruotolo, per avere conferma di quanto ha detto in tv. Prossima­mente toccherà alla Ferraro, ma la secca smentita di De Donno non fa che ingarbugliare l’intri­go della presunta trattativa. Sul­la quale sono aperte almeno due inchieste e di cui si dibatte pub­blicamente nel processo a carico di Mario Mori, imputato di favo­reggiamento aggravato per la (anch’essa presunta) mancata cattura di Bernardo Provenza­no; secondo l’accusa quell’episo­dio del 1995 è a sua volta colle­gato ai contatti con Ciancimino del ’92. Il prossimo 20 ottobre deporrà in aula l’ex presidente della commissione parlamenta­re antimafia Luciano Violante che — a 17 anni di distanza dai fatti, come Martelli — ha raccon­tato di quando Mori gli chiese di incontrare "privatamente" Cian­cimino, su sollecitazione dell’ex sindaco. Pure su questa circo­stanza c’è totale contrapposizio­ne tra la versione di Violante e quella di Mori, che nega di aver mai proposto una simile iniziati­va all’ex deputato. Per provare a fare un po’ di lu­ce sui misteri di quella sanguino­sa stagione bisognerebbe capire prima chi dice la verità e chi, al contrario, mente. E perché men­te.

Giovanni Bianconi

10 ottobre 2009

 

REPUBBLICA

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http://www.repubblica.it/

2009-10-20

 

 

 

 

 

 

2009-10-19

Le reazioni dopo le parole del procuratore antimafia che ha ammesso il negoziato Stato-malavita

Il figlio dell'ex sindaco di Palermo interrogato annuncia rivelazioni e parla di "episodi inquietanti"

Ciancimino jr: "Ho nuovi documenti"

Alfano: "Con noi nessuna trattativa"

Salvatore Borsellino: "Può aver salvato qualche politico ma il patto barattato con la vita di mio fratello"

Ciancimino jr: "Ho nuovi documenti" Alfano: "Con noi nessuna trattativa"

Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso

PALERMO - Ora che il procuratore nazionale antimafia ha ammesso che la trattativa Stato-mafia "ha salvato la vita a molti ministri", Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso in via D'Amelio, alza la voce e condanna le parole di Pietro Grasso: "Se è vero che la trattativa può aver salvato la vita a qualche politico, è vero che il patto è stato barattato con la vita di Paolo Borsellino. Questo tipo di affermazione mi sconvolge".

Reazioni e accuse attorno al "papello" e alla trattativa avviata dopo la strage di Capaci e prima dell'uccisione di Borsellino e della sua scorta. Ciancimino jr annuncia nuove rivelazioni mentre il ministro della Giustizia Angelino Alfano avverte: "Con noi nessuna trattativa".

Massimo Ciancimino, interrogato quattro ore dai pm di Palermo e Caltanissetta per raccontare cosa ricorda della trattativa che suo padre condusse a nome dei vertici della mafia, ha consegnato una fotocopia del bigliettino sul quale Totò Riina trascrisse le richieste per sospendere le stragi contro lo Stato. "Altri documenti li porterò a breve", ha detto il figlio dell'ex sindaco di Palermo. " Certo è singolare che la gente ritrovi la memoria dopo 17 anni". Ciacimino jr si riferisce alle dichirazioni dell'ex presidente dell'Antimafia Luciano Violante che ha definito il papello una "bufala" e "insolitamente ha ricordato solo oggi che mio padre gli chiese un incontro, nel '92, attraverso l'allora colonnello del Ros Mario Mori".

E poi ci sono "episodi preoccupanti", dice ancora Massimo Ciancimino. Come quello di ieri sera: "Alla vigilia delle importanti dichiarazioni che ho reso stamani sui carabinieri del Ros, ieri sera, sotto casa miaa Bologna, c'erano due carabinieri proprio del Ros che alla mia scorta hanno dichiarato di essere lì per indagini. Inquietante, vero?" In realtà, il comando provinciale dei carabinieri precisa che quei due militari erano del Nucleo investigativo e non del Ros, appostati "per condurre indagini non connesse in alcun modo con Ciancimino".

"Chi ha trattato allora, ha fatto un pessimo affare", sentenzia il senatore del Pdl Carlo Vizzini. E il ministro alla Giustizia Angelino Alfano precisa: "Non so se il papello è vero oppure no. Di certo questo governo ha fatto l'esatto contrario di ciò che si aspettavano i boss. Abbiamo inasprito il carcere duro, che era una delle richieste contenute nel papello; abbiamo aggredito i patrimoni mafiosi ancora di più e abbiamo escluso in ogni modo ipotesi di revisione del processo".

(19 ottobre 2009)

 

 

 

 

 

 

 

Il procuratore antimafia: "In qualche modo quella trattativa salvò la vita a molti ministri"

Luciano Violante: "La fotocopia pubblicata è una bufala, riferimenti a cose che vengono molto dopo"

Grasso: "C'erano contatti con la mafia

la strage Borsellino accelerò la trattativa"

Grasso: "C'erano contatti con la mafia la strage Borsellino accelerò la trattativa"

Piero Grasso

ROMA - La trattativa con la mafia nei primi anni 90 c'è stata e anzi Cosa nostra aveva capito di poter ricattare lo Stato. A sostenerlo è il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, intervistato dal Tg3 della sera. E le sue parole rilanciano la polemica esplosa in questi giorni dopo la consegna alla Procura di Palermo delle copie di quello che il figlio di Vito Ciancimino assicura essere il "papello" elaborato da Riina per avviare la trattativa tra Stato e mafia.

E Piero Grasso spiega: "Quando Riina dice a Brusca, come lui ci riferisce, che 'si sono fatti sotto' vuol dire che è scattato il meccanismo di ricatto nei confronti dello Stato: la strage di Falcone ha funzionato in questo modo. L'accelerazione probabile della strage di Borsellino può allora essere servita a riattivare, ad accelerare la trattativa con i rappresentanti delle istituzioni".

"Anche via D'Amelio - sospetta Grasso - potrebbe essere stata fatta per 'riscaldare' la trattativa. In principio pensavano di attaccare il potere politico e avevano in cantiere gli assassinii di Calogero Mannino, di Claudio Martelli, Giulio Andreotti, Carlo Vizzini e forse mi sfugge qualche altro nome. Cambiano obiettivo probabilmente perché capiscono che non possono colpire chi dovrebbe esaudire le loro richieste. In questo senso si può dire che la trattativa abbia salvato la vita a molti politici".

Intanto in un'intervista a La storia siamo noi, in onda domani sera su RaiDue, Agnese Borsellino, vedova del magistrato ucciso, rivela: "Stranamente negli ultimi giorni che precedettero via d'Amelio, mio marito mi faceva abbassare la serranda della stanza da letto, perché diceva che ci potevano osservare dal Castello Utveggio". Il castello Utveggio si trova sul monte Pellegrino e domina dall'alto la città di Palermo; secondo alcuni esperti di mafia sarebbe stato un punto di osservazione da parte di apparati dei servizi segreti.

Ma sono molti gli interrogativi aperti dall'indagine della Procura di Palermo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia e i riscontri sull'attendibilità del famoso "papello". In proposito l'ex presidente della Camera Luciano Violante non ha dubbi: "Quel documento pubblicato è una bufala: dico quello pubblicato, perché altri magari no". Secondo Violante si tratta di una falso perché nel documento "si fa riferimento a cose come il 41 bis o la dissociazione, che è un tema che verrà fuori molto tempo dopo" e occorre, quindi, "capire perché è uscito quel documento che è fasullo e che cosa voleva dire".

Non solo. Violante ipotizza scenari più oscuri. "Ho l'impressione - avverte - che il documento che la magistratura ha in mano sia diverso da quello pubblicato. Sta ai magistrati capire cosa è successo: sta a noi spingere senza interpretazioni di parte, perché la verità venga fuori".

(18 ottobre 2009

 

 

Le inchieste sulle stragi si concentrano sui reparti speciali dei carabinieri

Gli appunti di Ciancimino sulla creazione di un nuovo partito: la Lega del Sud

Terremoto per il papello

i capi del Ros sotto accusa

di ATTILIO BOLZONI e FRANCESCO VIVIANO

Terremoto per il papello i capi del Ros sotto accusa

PALERMO - Con il "papello" nelle mani dei procuratori siciliani le indagini sulle stragi e sulla "trattativa" si stringono sui reparti speciali dei carabinieri. Su tutta la "catena di comando" dei Ros. Colonnelli, generali, maggiori, capitani. Sono sott'accusa, sono sospettati. Per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina nel 1993. Per la mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995. Per i patti e i ricatti fatti fra il massacro di Capaci e quello di Via D'Amelio nel 1992. Per le rivelazioni della vedova di Paolo Borsellino nell'agosto del 2009: "Mio marito mi ha detto che il generale Subranni era punciutu". Letteralmente significa affiliato a Cosa Nostra, probabilmente il procuratore ucciso voleva indicare una certa spregiudicatezza investigativa che prevedeva sempre negoziazioni con i boss.

La deposizione di Agnese Borsellino è stata secretata ma da ieri si rincorrono voci su nuovi "avvisati" alla procura di Caltanissetta, in particolare voci sul generale Subranni. Qualcuno parla di un "atto dovuto" dopo le dichiarazioni della vedova Borsellino, qualcun altro - anche se la notizia è ufficialmente smentita - racconta che l'alto ufficiale sarebbe stato già indagato per favoreggiamento.

Il generale Antonino Subranni, diciassette anni fa era il comandante dei Ros ed era il diretto superiore del colonnello Mario Mori, l'ufficiale - poi diventato capo dei servizi segreti nel penultimo governo Berlusconi - che oggi è a processo a Palermo (con il colonnello Mauro Obinu) per avere favorito Provenzano in una latitanza lunga quarantatré anni. Nello stesso procedimento è ancora sub iudice anche Subranni, già indagato per favoreggiamento aggravato. Per lui il sostituto procuratore Nino Di Matteo ha chiesto l'archiviazione, il fascicolo è ancora sulla scrivania del giudice per le indagini preliminari.

Sono i Ros più di ogni altro soggetto istituzionale o apparato poliziesco i protagonisti di quella stagione fra stragi e mercanteggiamenti, colloqui riservati, contrattazioni. È il capitano Giuseppe De Donno - ma lui nega e annuncia querela - che viene citato dall'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli come l'ufficiale che avvicina il direttore degli Affari penali Liliana Ferraro per dirle che "Ciancimino sta collaborando". È sempre De Donno con il colonnello Mori che incontrano più volte don Vito per trattare con Totò Riina e, secondo Massimo Ciancimino, visionano il "papello". È sempre Mori, secondo l'ex presidente della commissione parlamentare Luciano Violante, che vuole perfezionare un patto "politico" con Ciancimino. È sempre il generale Subranni, secondo ancora Massimo Ciancimino, "che in un primo momento era il referente capo" di De Donno e di Mori. Un elenco interminabile di incontri e di abboccamenti, tutti finalizzati alla "trattativa" con i Corleonesi alla vigilia dell'uccisione di Borsellino.

Le domanda, diciassette anni dopo, sono poche e precise. I Ros hanno agito autonomamente? Hanno trattato per loro conto con Totò Riina? Hanno ricevuto un mandato politico o si sono abbandonati a scorribande sbirresche? "Mio padre mi ha detto che quegli ufficiali erano accreditati da Mancino e Rognoni", dichiara a verbale Massimo Ciancimino. Nicola Mancino, che al tempo era ministro degli Interni, da mesi smentisce ogni trattativa. Virginio Rognoni, che al tempo era ministro della Difesa, dice che non "ha mai saputo nulla". L'inchiesta di Palermo riparte da questi passaggi, da questi sospetti. Chi ha "autorizzato" la trattativa con il capo dei capi di Cosa Nostra?

E riparte proprio nel giorno della discovery del "papello" di Totò Riina, le 12 richieste che il boss ha presentato allo Stato per fermare le stragi. La copia del documento è in una cassaforte della procura palermitana, all'inizio della prossima settimana da una cassetta di sicurezza custodita in una banca del Liechtenstein arriverà in Sicilia probabilmente anche il "papello" originale.

Solo allora i magistrati ordineranno una perizia grafica per vedere chi ha materialmente scritto quelle richieste dettate da Totò Riina. I primi sospetti si stanno allungando su uno dei figli del boss di Corleone. E sul fidato Antonino Cinà, il mafioso più vicino a Riina in quell'estate del 1992. La prossima settimana forse arriveranno a Palermo anche le registrazioni - altra promessa di Massimo Ciancimino - dei colloqui avvenuti fra don Vito e il colonnello Mori e il capitano De Donno durante la "trattativa". Ha spiegato il figlio dell'ex sindaco: "Mio padre non si fidava di quei due e così ha registrato tutto".

Il contenuto del "papello" già noto ieri l'altro nel dettaglio oggi è un "atto pubblico". I 12 punti sono elencati, uno dopo l'altro: dalla revisione del maxi processo fino alla defiscalizzazione della benzina "come Aosta". In più c'è anche quel foglio anticipato da L'espresso e scritto da Vito Ciancimino.

Appunti e riflessioni per il suo libro. I nomi di Mancino e Rognoni, una riga sulla "riforma della giustizia all'americana sistema elettivo con persone superiori ai 50 anni indipendentemente dal titolo di studio Es. Leonardo Sciascia". Un'altra riga sull'abolizione del monopolio Tabacchi e un riferimento a "Sud partito". La Lega del Sud. Il sogno indipendentista dei mafiosi che non muore mai.

© Riproduzione riservata (17 ottobre 2009)

 

 

 

 

Il procuratore Ingroia sugli attentati di mafia del '92-'93: presto il papello

sulla trattativa con Cosa nostra. La Ferraro conferma la sua versione

"Stragi, verità a un passo

Ma non tutti la vogliono"

di ALESSANDRA ZINITI

"Stragi, verità a un passo Ma non tutti la vogliono"

Antonino Ingroia

PALERMO - Ad un passo dalla verità sulla stagione delle stragi negli anni Novanta e ad un passo dal "papello", la prova di quella trattativa tra Stato e Cosa nostra della quale, un mese dopo la strage di Capaci, Paolo Borsellino sarebbe venuto a conoscenza, accelerando così probabilmente la sua morte.

Sono ore decisive per i magistrati di Palermo e Caltanissetta che hanno riaperto le indagini sugli attentati del '92 e sulla trattativa e che ieri pomeriggio hanno interrogato negli uffici romani della Dia l'ex capo degli Affari penali del ministero di Grazia e giustizia Liliana Ferraro. Sarebbe stata proprio lei ad informare Paolo Borsellino di quell'iniziativa di Don Vito Ciancimino, pronto - per il tramite dei vertici dei carabinieri del Ros - ad intavolare una trattativa per chiudere la stagione stragista in cambio di una serie di iniziative legislative a favore di Cosa nostra.

Circostanza che la Ferraro avrebbe ieri confermato al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, al procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e al sostituto Domenico Gozzo arricchendo di particolari il ricordo consegnato ad "Anno zero" dall'allora Guardasigilli Claudio Martelli. E proprio Martelli stamattina sarà chiamato dagli stessi pm a riferire le circostanze ricordate a 17 anni di distanza e smentite nei giorni scorsi dall'ex capitano del Ros Giuseppe De Donno che ha negato di aver mai parlato con la Ferraro dell'iniziativa di Ciancimino.

Bocche cucite dei pm al termine dell'interrogatorio della Ferrario, ma poche ore prima a Firenze, al Forum nazionale contro la mafia, il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia aveva affermato di essere "nell'anticamera della verità, vicini quindi a capire cosa avvenne prima e durante l'epoca stragista voluta da Cosa nostra, se ci furono - e soprattutto tra chi - contatti tra i boss e lo Stato. Come nella stagione 1996-1998. E come allora il clima politico cambia, diventa difficile. Non tutta l'Italia vuol sapere la verità".

I magistrati sarebbero anche ad un passo dal famoso "papello", l'elenco di richieste avanzate da Totò Riina ai rappresentanti dello Stato che il figlio di Don Vito, Massimo Ciancimino, ha promesso di consegnare. "Una serie di risultanze - ha detto Ingroia - ci fanno credere che il "papello" esiste. Sapremo presto se riusciremo a venirne in possesso. Se si dovesse trovare questo sarebbe la prova tangibile che la trattativa fra mafia e Stato non solo è esistita ma anche iniziata".

I verbali delle audizioni rese nel '93 da coloro che nella stagione delle stragi erano ai vertici delle istituzioni, da Martelli all'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, verranno riletti dai pm alla luce delle nuove circostanze riferite solo ora. "Quello che è unico in questi mesi - ha detto Ingroia - è che per una serie di coincidenze un fascio di luce ha fatto sì che tra i protagonisti istituzionali di quella stagione ciascuno ha messo a fuoco ricordi evidentemente messi da parte. Ed è importante utilizzare i nuovi ricordi, togliere le ombre gettate sulla verità dai tanti "non ricordo" - dice Ingroia - . Il "papello" metterà un punto fermo: e sarà l'inizio, e non la fine, delle indagini".

© Riproduzione riservata (15 ottobre 2009)

 

 

 

 

L'UNITA'

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2009-10-20

 

 

 

 

 

 

2009-10-19

Grasso al Tg3: "La mafia ricattava lo Stato con le stragi. La morte di Borsellino accelerò la trattativa"

Un'intervista del procuratore antimafia Piero Grasso riapre la vicenda della misteriosa trattativa con Cosa Nostra. "Questa trattativa con la mafia nei primi anni '90 c'è stata - afferma il magistrato al Tg3 - ed anzi Cosa Nostra aveva capito di poter ricattare lo Stato".

Le sue parole rilanciano la polemica esplosa in questi giorni dopo l'arrivo alla Procura di Palermo delle copie di quello che il figlio di Vito Ciancimino assicura essere il "papello" elaborato da Riina per avviare la trattativa tra Stato e mafia.

Dice Piero Grasso: "Quando Riina dice a Brusca, come lui ci riferisce, che 'si sono fatti sotto' vuol dire che è scattato il meccanismo di ricatto nei confronti dello Stato: la strage di Falcone ha funzionato in questo modo. L'accelerazione probabile della strage di Borsellino può allora essere servita a riattivare, ad accelerare la trattativa con i rappresentanti delle istituzioni".

Per il procuratore bisogna però contestualizzare la vicenda: "Il momento era terribile, bisognava cercare di fermare questa deriva stragista che era iniziata con Falcone: questi contatti dovevano servire a questo e ad avere degli interlocutori credibili". La realtà, sostiene Grasso, è che "questo primo contatto ha creato delle aspettative in Cosa Nostra che poi hanno provocato ulteriori conseguenze".

In ogni caso dopo l’arresto di don Vito Ciancimino e Riina "le stragi prendono un’altra strada, ma continuano. Io ritengo - conclude Grasso - che ci sia sempre un unico filo che collega le stragi iniziali, come l’omicidio Lima, a tutte le altre, tra cui quelle mancate dell’attentato all’Olimpico".

 

18 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

La "riforma" di Cosa Nostra, il papello e quelle leggi sulla giustizia in Italia

di Nicola Biondotutti gli articoli dell'autore

"Stiamo indagando su dieci anni di trattativa" dice all’Unità il Pm palermitano Nino Di Matteo a poche ore dalla consegna del Papello. Dieci anni il cui inizio è la strage di Capaci, maggio ’92, e la cui fine, o meglio punto di svolta, è il proclama di Leoluca Bagarella del luglio 2002 indirizzato alle forze politiche. Nel mezzo c’è il sangue di Borsellino e Falcone e delle vittime delle stragi del ’93, a Milano e Firenze, e un grande sforzo investigativo di magistratura e forze di polizia come mai era avvenuto in passato. Ma anche molte, troppe, aree grigie e un sensibile mutamento di clima intorno alla lotta antimafia. La trattativa insomma èun workin progress,nonsi esaurisce, secondo gli investigatori, al papello o agli scritti di Vito Ciancimino ma va oltre.

COME FINÌ LA TRATTATIVA?

La prima domanda che gli investigatori si pongono è se e quali punti del papello hanno avuto effettiva realizzazione in questa "lunga trattativa". La revisione del maxiprocesso ad esempio non è mai stata all’ordine del giorno. Negli ultimi anni però sono state molte le proposte di legge presentate per ottenere nuove norme per la revisione dei processi da ancorare, secondo unodei promotori Gaetano Pecorella – avvocato del premier – alle sentenze della Corte europea. Per quanto riguarda il 41bis e la legge sui pentiti è sotto gli occhi di tutti che le nuove leggi non garantiscono più buoni risultati. L’isolamento dei boss è ormai un ricordo del passato e la legge sui pentiti ha ottenuto un unico risultato: da anni ormai non si pente quasi più nessuno. Sulla revisione della legge Rognoni-La Torre basta dire che sono migliaia ogni anno i beni confiscati che non vengono riutilizzati, come denuncia da tempo la Agenzia del demanio. Le richieste di Riina contemplano anche la possibilità di dissociarsi da Cosa nostra, una exit strategy che garantirebbe la possibilità di accedere ai benefici carcerari senza l’obbligo di rivelare nulla. Una idea che ha fatto capolino più volte nelle aule parlamentari e per la quale ha mostrato interesse finanche un alto magistrato come Giovanni Tinebra, ex-capo della procura di Caltanissetta. La chiusura dei super carceri, comequelli dell’Asinara, è ormai invece una realtà. Mentre la trattativa progrediva è poi arrivata la riforma del c.d. "giusto- processo" che permette la scelta del silenzio ai testi o ai collaboratori mentre nessuna disposizione è stava varata per tutelare chi testimonia nei processi di mafia.

LA RIFORMA DI COSA NOSTRA

I dodici punti del papello, di cui questi sono i nodi essenziali, rivelano la grande riforma della giustizia di Cosa Nostra.Chenon puònon ricordare i temi dell’agenda dell’attuale governo. Di chi in fondo in nome di un garantismo disinvolto vorrebbe i magistrati sottoposti a forme di controllo e le indagini depotenziate con l’abolizione delle intercettazioni. Binu Provenzano lo aveva promesso al popolo di Cosa Nostra consumato dalla politica delle stragi: "Servono dieci anni per tornare all’antica". L’orizzonte della trattativa sarebbe stato allora "più ampio": far nascere una nuova mafia in un nuovo Stato. In questo senso il papello di Riina nasce "vecchio" perché il suo alter ego Provenzano lo ha emendato e in parte realizzato, nella previsione diunarimozione collettiva del problema mafia. E si arriva così al redde rationem, a quel proclama di Bagarella del 2002 che accusa gli avvocati diventati parlamentari di non occuparsi più dei loro clienti mafiosi, che tira in ballo le forze politiche che giocano "sulla pelle dei detenuti". Una dichiarazione di guerra contro il patto di Provenzano che vedrà la sua manifestazione più clamorosa inuno striscione apparso pochi mesi dopo allo stadio di Palermo: "Uniti contro il 41bis, Berlusconi dimentica la Sicilia". Ci sono tappe visibili e meno visibili di questa trattativa. Unasicuramente è la scandalosa latitanza di don Binu: secondo la Procura di Palermo andrebbe addebitata proprio ad uno dei protagonisti della trattativa con Ciancimino, il generale Mario Mori oggi sotto processo per avere omesso di catturare il padrino pur essendo a conoscenza di uno dei luoghi che abitualmente frequentava fino al 2001. Processo che riprende martedì prossimo con l’audizione di LucianoViolante.

17 ottobre 2009

 

 

 

 

 

il SOLE 24 ORE

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2009-10-20

 

 

 

 

 

 

2009-10-19

Mafia e stato, il "papellino" della "Primula nera"

di Nino Amadore

19 ottobre 2009

Torna d'attualità una trattativa "minore" tra le istituizoni e le cosche di cui è stato protagonista il pentito Paolo Bellino

Compare nelle carte del processo sulla strage di Via D'Amelio e in altre numerose indagini sulla mafia stragista. È l'uomo su cui hanno indagato a suo tempo a lungo anche i magistrati della procura antimafia di Caltanissetta impegnati a ricostruire le dinamiche della strage di Via D'Amelio e hanno agli atti il racconto che fa il pentito Giovanni Brusca a proposito di strane offerte di accordi di cui si sarebbe fatto latore Antonino Gioè, il boss poi morto suicida in carcere. Lui è Paolo Bellini, un militante del movimento di estrema destra Avanguardia nazionale, trafficante di opere d'arte, killer al servizio della 'ndrangheta, mediatore per conto dello Stato in una difficile trattativa con Cosa nostra ufficialmente per il recupero di opere d'arte rubate, infine arrestato nel 1999 e dunque pentito, reo confesso di decine di omicidi compiuti a sangue freddo tra l'Emilia Romagna e la Calabria. È stato lui ad uccidere nella sua città Reggio Emilia, più di trent'anni fa, il militante di Lotta continua Alceste Campanile, ed è stato lui a tessere le fila di una strana trama tra i cui comprimari ci sono boss mafiosi di primo piano ma anche uomini dello stato: poliziotti, carabinieri, agenti dei servizi segreti. Ed è questa la storia ricostruita e documentata in "La primula nera", Paolo Bellini, il protagonista occulto di trent'anni di misteri italiani, il libro scritto dal giornalista Giovanni Vignali e pubblicato da Aliberti editore (259 pagine, 17 euro). Oggi è a Bellini che va il pensiero dopo aver ascoltato le parole del procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso quando, a proposito delle richieste che Riina avrebbe fatto allo Stato in quella tragica stagione di sangue nel 1992 (il papello), ricorda l'esistenza di un "Papellino" che, come si legge nelle carte processuali, "potrebbe essere stato consegnato ai carabinieri del Ros, al colonnello Mori che nega l'episodio, da uno strano collaboratore dei servizi che chiedeva l'abolizione dell'ergastolo per i capimafia Luciano Liggio, Giovanbattista Pullarà, Pippo Calò, Giuseppe Giacomo Gambino e Bernardo Brusca".

Scrive Enzo Ciconte, nella prefazione al libro di Vignali: "Sono stati pochi coloro che si sono occupati di quella che si potrebbe definire una trattativa minore che ebbe come suo protagonista assoluto Paolo Bellini". Che oggi torna drammaticamente d'attualità. Lo racconta proprio Vignali: "Nel febbraio del 2005, rispondendo a una delle prime domande del pm Giovanni Melillo, la primula nera ha esordito così: Io sono qui, in questo interrogatorio, in qualità di Bellini Paolo, non di domatore delle quattro scimmiette: Gioè, Brusca, Bagarella e Totò Riina".

19 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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